
Abbiamo accennato alla fine dello scorso articolo che la terapia parodontale influenza positivamente non solo lo stato di salute orale ma anche la maggior parte dei trattamenti odontoiatrici.
Questo può avvenire principalmente in 2 modi:
- terapia parodontale significa meno placca e infiammazione che possono compromettere le altre terapie.
- alcune procedure chirurgiche parodontali (ricordate la terza fase della terapia parodontale?) possono essere applicate, anche in assenza di parodontite, per rendere più duraturi e più estetici altri trattamenti.
Normalmente una persona non ha bisogno soltanto di terapia parodontale, ma può avere ad esempio carie da curare o denti mancanti da sostituire. Come integrare queste cure tra di loro?
Il concetto fondamentale è che il primo passo terapeutico necessario consiste nella bonifica dell’infezione presente in bocca, sia a livello parodontale sia a livello dentale: alla terapia causale (sedute di igiene) segue quindi la cura delle carie in quella fase più ampia che complessivamente viene spesso chiamata “preparazione iniziale”, che può comprendere anche l’estrazione di denti non recuperabili.
Una volta bonificata la bocca, è possibile valutare il mantenimento di igiene e salute parodontale dopo 1-3 mesi: se questa rivalutazione avrà esito negativo (molta placca, molta infiammazione gengivale) sarà generalmente controindicato procedere con terapie più impegnative e meno urgenti quali ad esempio interventi di chirurgia parodontale (terza fase della terapia parodontale), di implantologia o di protesi fissa su denti naturali (corone e ponti). Questo perché ad esempio una gengiva infiammata è poco manipolabile chirurgicamente e molto instabile se ad esempio riceve una corona protesica; ancora, un eccessivo accumulo di placca espone ad esempio un impianto dentale a un maggior rischio di fallimento nel lungo ma anche nel breve termine, così come esporrebbe l’osso a un’eccessiva quantità di batteri in caso di un qualsiasi intervento di chirurgia orale.
Sarà necessario quindi ripetere la seconda fase (rimozione di placca e tartaro) e rivalutare nuovamente prima di procedere con questo tipo di cure.
In sostanza, la terapia causale parodontale e il mantenimento di igiene e salute parodontale proteggono da rischi altri trattamenti (chirurgia parodontale, implantologia, protesi).
E veniamo al secondo modo: come alcune procedure chirurgiche parodontali possono rendere più duraturi ed estetici altri trattamenti, anche in assenza di parodontite.
Abbiamo detto che la terza fase della terapia parodontale consiste nell’applicazione, laddove indicato, di interventi di chirurgia parodontale che possono avere diverse finalità: rimuovere “a cielo aperto” depositi di placca e tartaro che altrimenti sarebbe difficile o impossibile rimuovere a cielo chiuso (senza cioè lo scollamento della gengiva); modificare l’anatomia e i rapporti tra osso dente e gengiva per ridurre la profondità della tasca e facilitare le manovre di igiene domiciliare del paziente; aumentare la quantità e qualità gengivale per rendere più agevole lo spazzolamento; in certi casi è addirittura possibile rigenerare chirurgicamente il tessuto parodontale perso per parodontite.
Alcune di queste procedure possono essere applicate, con le opportune modifiche, per altri trattamenti, anche in assenza di malattia parodontale.
Un esempio molto comune è rappresentato da carie o frattura dentale estese sotto il livello della gengiva: per poter isolare il dente dalla gengiva (operazione necessaria per evitare la contaminazione con la saliva durante le procedure di ricostruzione del dente) in questi casi a volte è necessario scollare o rimuovere piccole porzioni di tessuto gengivale (tranquilli, non si sente nulla, non si vede nulla, e la gengiva ricresce!).
Un intervento analogo viene eseguito per eliminare la gengiva in eccesso che fa apparire i denti più corti (e quadrati), oppure per ridare un’architettura fisiologica a osso e gengiva in caso di protesi fissa (denti rivestiti di ceramica/zirconia o metallo-ceramica per motivi strutturali e/o estetici). In quest’ultimo caso, inoltre, una corona (o “capsula”) in ceramica avrebbe un alto rischio di distacchi o scheggiature se il moncone dentale su cui è cementata fosse troppo piccolo e basso: un intervento che riduca il supporto osseo-gengivale allunga il moncone rendendo più stabile e duratura la corona.
Ancora, procedure chirurgiche di derivazione parodontale possono essere applicate in implantologia. Nei mesi successivi all’estrazione di un dente, osso e gengiva si contraggono: questo può significare un’alterazione del profilo gengivale che se non viene modificato comprometterebbe il risultato estetico finale del dente supportato da impianto: in alcune situazioni è quindi utile, in fase di inserimento dell’impianto, eseguire anche un innesto gengivale per ridare una morfologia e un volume gengivale in linea con i denti adiacenti e “mimetizzare” il restauro finale.
Molte procedure chirurgiche di derivazione parodontale possono quindi essere applicate in altri campi dell’odontoiatria per un risultato più duraturo ed estetico.
Occuparsi di parodontologia significa quindi non solo curare la parodontite ma anche migliorare i trattamenti delle altre branche dell’odontoiatria.